Dal giudice buono a quello cattivo.
Nel precedente post abbiamo parlato
del Giudice Morris, protagonista di
una serie di fumetti americani degli anni Quaranta, magistrato talmente calato
nel ruolo da prendere con sé, quasi adottandolo, il figlio di un delinquente
che lui stesso aveva condannato all’ergastolo.
Dagli USA alla Francia, dagli anni
Quaranta ai giorni nostri, ed ecco in edicola il Giudice Aaron.
L’Editoriale Cosmo sta inondando le
edicole con albi a fumetti nel formato che si usa chiamare bonelliano (quello
di Tex o Dylan Dog), ma che consistono in “rimpiccolimenti” dei volumi
cartonati tradotti dal mercato francese. Qualcuno storce il naso perché auspica
che anche da noi si affermi un formato più prestigioso e che renda giustizia ai
disegni; qualcuno è contento perché diventano accessibili, a prezzo ridotto,
fumetti altrimenti destinati a restar sconosciuti.
Per farla breve, ecco una serie di
quattro cartonati, editi oltralpe tra il 2014 ed il 2015, da noi sbarcati in
edicola belli e pronti nell’arco di due mesi, con due volumi per albo.
Molto ricca la trama, che quindi
rinunciamo a narrare in dettaglio; poiché questo è un blog di fumetto
giudiziario, cerchiamo di spiegare cosa centra il giudice.
I Golden Dogs sono una banda di ladri nella Londra del 1830. Siamo
ancora lontani dall’epoca che maggiormente viene presa di mira dai fumetti (la
vera Londra ottocentesca di Jack lo squartatore, o quella di fantasia di Jekylle Hyde), ma già in piena rivoluzione industriale e in pieno spirito vittoriano.
Le disuguaglianze sociali imperano, al mondo dei Lord si contrappone quello
degli slums.
La serie, ideata da Stephen Desberg
per i testi su disegni di Griffo (ma molto fascino si deve ai colori),
parteggia decisamente per i quattro ladri, visti come una sorta di Robin Hood
in salsa moderna; il Giudice Aaron, di contro, è raffigurato come il
rappresentante di un potere costituito che usa la repressione poliziesca contro
coloro che vogliono solo affermare la loro libertà, salvo consentire a nobili
depravati di continuare in traffici apparentemente leciti, ma in realtà poco
puliti.
Lo spettacolo fumettistico funziona,
ma il sottofondo ideologico resta a volte poco coeso. Per chi poi fosse
appassionato di temi giudiziari, il nostro Aaron presenta qualche delusione.
Non lo si vede mai sul suo scranno di giudice, non vi è accenno ad alcun
processo; sembra in realtà una sorta di superpoliziotto, che segue le sue
“vittime” sin sulla porta del carcere, quasi avesse avuto un incarico
ministeriale e fosse alle dirette dipendenze del sindaco o del Ministro
dell’interno.
Non stupisce, poi, che il nostro
abbia anche una vita segreta con delle perversioni poco eleganti per un Uomo di
legge; del resto, l’intera serie è piuttosto esplicita quando si tratta di
mostrare ciò che avviene (o dovrebbe avvenire) in camera da letto.
Nel finale, quando i Golden Dogs
sembrano trionfare (ma un tradimento è nell’aria) e Aaron cade in disgrazia,
gli autori non risparmiano un po’ di sana ironia.
Insomma un fumetto che si fa
leggere, ben costruito, con un buon melange di ingredienti diversi (ah, c’è
anche una inaspettata spruzzatina di orrore soprannaturale nel finale), ma che
conferma la teoria sviluppata nel libro GIUSTIZIA A STRISCE; e cioè che narrare
a fumetti, in modo realistico, la figura del giudice, è impresa piuttosto
ardua.