sabato 24 marzo 2018

Recensioni / JONAS FINK, di Vittorio Giardino

Se il Guinness dei Primati desse maggiore spazio al Fumetto, anziché parlarci di gente capace di divorare centinaia di aringhe in pochi minuti, Vittorio Giardino avrebbe una buona possibilità di esservi menzionato. 
Con la pubblicazione del terzo episodio di Jonas Fink, l’autore bolognese ha chiuso nel 2018 una trilogia iniziata nel 1991 (se contiamo dalla apparizione delle prime pagine sulla rivista Il Grifo), o nel 1997 (se contiamo dalla prima apparizione dell’episodio completo in volume), e continuata nel 1998, anno di apparizione del secondo episodio, questa volta direttamente in libro. 25 anni per concludere una storia; potrebbe non essere un record mondiale assoluto, ma certamente ci sono buone possibilità di giocarsela.

 



Col tempo, quest’opera era diventato una sorta di araba fenice. Per i lettori che hanno amato i primi due episodi, l’attesa è stata lunghissima, in parte mitigata dalla possibilità di seguire un’altra trilogia, quella di No pasarán. Giardino infatti, un po’ perfidamente (ma gli artisti, si sa, devono seguire il proprio estro) ha sospeso Jonas per tornare a Max Fridman, il suo personaggio forse più noto. E poiché anche la trilogia di No pasarán si è dilatata oltre intenzione (come lo stesso autore ha ammesso in più occasioni), Jonas è divenuto la maledizione e l’ossessione per tutti i giardiniani d’Italia e del mondo. 

In ogni caso, dalla pubblicazione in volume del terzo episodio di No pasarán (avvenuta nel 2008) al terzo Jonas, sono trascorsi altri dieci anni, durante i quali il Nostro ha elargito qualche raccolta di disegni, qualche illustrazione, qualche copertina; certamente non abbastanza per soddisfare i suoi lettori. Non sono molti i disegnatori di fumetti che ha lasciato il loro pubblico a bocca asciutta per tanti anni. 

È stata ripagata la lunghissima attesa? 



Il formato di stampa e la sciatteria della Rizzoli 


Se invertiamo l’ordine dei fattori e paliamo prima del contenitore e poi del contenuto, certamente no. La Rizzoli, che ha acquistato il marchio Lizard (editore dei primi due episodi della serie) qualche anno fa, ha ben pensato di non pubblicare  il terzo volume con lo stesso formato e le medesime caratteristiche di stampa dei primi due. Ha invece pubblicato l’intera saga in un solo libro, con una grafica modesta e un formato bonsai che deprime il disegno del Maestro, e naturalmente ha costretto chi già aveva acquistato i primi due volumi (splendidi libri rilegati con sovraccoperta di grande formato) a ricomperarli. 




Le difese della Rizzoli, di fronte ai commenti critici apparsi sui social forum, sono note: molti lettori non avevano più memoria di quei vecchi libri, occorreva dare loro l’opera completa ad un prezzo contenuto. In realtà anche i nuovi lettori avranno di che lamentarsi. Nei primi due episodi, il rimpicciolimento rispetto al formato originale, fa sì che il lettering (che Giardino ha sempre curato a mano con estrema eleganza e precisione grafica) risulti di difficile lettura. Nel terzo, il lettering sembra concepito per le dimensioni di stampa prescelte, e dunque non ha problemi di leggibilità, ma in compenso le nuvolette invadono il disegno come mai era avvenuto in precedenza. 

Con tutto il rispetto per la politica editoriale di un editore celebre come Rizzoli, una scelta simile non può che deludere i lettori; del resto, parlando di un autore italiano, spiace particolarmente notare la disparità di trattamento rispetto alla Francia, ove il libro è uscito prima e in un formato più degno  (sebbene a sua volta ridotto rispetto allo standard) 

Ma che Giardino sia più rispettato oltralpe lo sappiamo dal 1989, quando sulla rivista A Suivre comparve il reportage a fumetti realizzato da un gruppo di fumettisti invitati a visitare l’Eliseo. Tutti francesi, ovviamente, a parte il Nostro. 

Lasciamo da parte le amarezze del contenitore e parliamo del contenuto. 

Una storia nella Storia

Jonas Fink è un fumetto storico, ambientato in quella che, anteriormente alla caduta del muro di Berlino, si chiamava Cecoslovacchia. Il protagonista, che troviamo bambino nel primo episodio, e che nell’ultimo giunge circa ai 50 anni, attraversa le vicende dolenti di questo paese: le repressioni staliniane, con il padre del protagonista arrestato e incarcerato solo perché ebreo e di origine borghese; le nuove speranze della cosiddetta Primavera di Praga; la repressione del 1968, con i carri armati sovietici che invadono Praga e mettono fine al sogno di un comunismo dal volto umano. 



Se, nei primi due episodi, la “macchina da presa” dell’autore è sempre su Jonas (ed il lettore non può che simpatizzare per questo ragazzino, costretto a crescere senza un padre ed a trovarsi un lavoro giacché gli viene negata l’iscrizione alla scuola superiore), nel terzo si ha l’impressione che il protagonista finisca con l’essere solo una pedina su uno scacchiere più ampio. Costretto a collocare i suoi personaggi in un momento tragico della Storia, l’autore sembra tenere meno all’eroe eponimo, al quale anzi non risparmia nulla, mostrandocelo fedifrago in amore, indeciso nel manifestare solidarietà agli amici, forse anche vile quando si convince a cercare di lasciare il paese. 

Si ha l’impressione, insomma, che il personaggio, nell’arco di quasi trent’anni, abbia preso, nelle mani di Giardino, una direzione in parte differente da quella alla quale sembrava destinato. O forse questa è solo un’impressione da lettore, e la trama era stata definita a grandi linee sin dall’inizio. 

Va detto anche che il terzo episodio si compone di 161 pagine, contro le 46 del primo e le 94 del secondo; e che, forse anche per l’età che avanza o per l’esigenza di portare a termine un’opera rimasta così complessa, si ha l’impressione di un disegno meno accurato del solito, e di qualche stacco di sceneggiatura un po’ brutale. 

Non volendo privare il lettore, che ancora non ha letto il libro, del piacere di scoprirne ogni dettaglio, non riveliamo qui la trama; piuttosto proviamo ad approfondire qualche segno di stile. 

Ritorno all’antico 

Intanto Giardino manifesta una grande padronanza nel tenere le redini di una storia dilatata nel tempo. Sono sempre precisi ed accurati, anche nel terzo episodio, i riferimenti ad eventi avvenuti nei tomi precedenti; e non può certamente essere casuale la scelta di aprire la nuova storia con Jonas ormai adulto in campeggio, in una natura lussureggiante come solo nei disegni del Nostro; esattamente come si apriva il primo volume, quando Jonas bambino era accompagnato all’aperto dai genitori ancora spensierati. 

È invece piuttosto curioso il ritorno ad una struttura della pagina più variegata rispetto ai due episodi precedenti. Nelle prime storie della maturità, ad esempio Rapsodia ungherese, Giardino inseriva vignette tonde o dai contorni frastagliati; una scelta stilistica che poi sembrava abbandonata, come già notarono Marcello Aprile e Simone Zeoli nel saggio “Le porte d’Oriente: Lettura linguistica dei fumetti di Vittorio Giardino”. 

Nei due episodi iniziali di Jonas Fink, simili espedienti vengono abbandonati, la massima deviazione, da una gabbia regolare della tavola, è l’uso di vignette che in parte si incastrano tra loro, ma sempre mantenendo una forma ortogonale. Nel terzo, le soluzioni si fanno fantasiose: nella tav. 21, una vignetta a forma di stella ha l’effetto di dare rilievo al volto di Tatiana, la ragazzina con cui Jonas scopre l’amore nel secondo episodio. In molte tavole appaiono vignette curvilinee; e nella tav. 60, il doppio volto femminile ricorda una soluzione adottata nella tav. 69 della già citata Rapsodia ungherese. 


Tra i ritorni dal passato c’è anche una certa componente erotica, ripescata forse dai tempi di Little Nemo. L’Autore non ha mai fatto mistero di saper disegnare il corpo femminile, ma nella trilogia precedente aveva accuratamente evitato il tema, col rischio di far apparire sin troppo stoico il protagonista Max Fridman, che a più riprese si sottrae alle proposte esplicite dell’amica Claire. Questa volta, di Jonas non ci viene risparmiato nulla, nemmeno la passione che lo travolge nel ritrovare Tatiana dodici anni dopo gli eventi narrati nel secondo volume. Scene che possono sembrare fuori luogo in un contesto drammatico del genere, ma che in fondo ci ricordano che la vita continua in ogni circostanza. 

Il giudizio sullo Stalinismo 

La Storia ha emesso le sue sentenze: il comunismo reale, come era chiamato il sistema creato nei paesi oltre la cortina di ferro, è collassato ovunque; a fatica oggi si trova qualcuno disposto a difendere le ragioni storiche di quella esperienza. Semmai si può discutere se le macerie del muro di Berlino abbiano travolto anche chi, nei paesi occidentali, aveva già preso le distanze dal modello sovietico e, non avendo conosciuto la tirannia comunista (ma semmai, in Italia, quella fascista), ha continuato a credere nel socialismo come in un mero ideale di giustizia. 

Giardino, che non ha mai esternato pubblicamente le sue opinioni politiche, rappresenta in quest’opera quelli che, con molta verosimiglianza, erano realmente le sensazioni e le emozioni di un paese totalitario. Vediamo la madre di Jonas fare la fila per conquistare generi di prima necessità; l’onnipresente polizia politica che tesse una rete di spionaggio tra un cittadino e l’altro; la violenza subdola, sottile anche quando non brutale sul piano fisico, con la quale le istituzioni tiranneggiano i cittadini dissenzienti. 

Eppure sbaglierebbe chi pensasse ad un’opera manichea. Sarebbe facile, ora che il crollo del Muro è storia passata, sparare solo sui cattivi di allora. I comunisti di Jonas Fink non sono rappresentati in maniera grottesca, come ottuse marionette, come lo erano, ad esempio, al tempo della guerra fredda nei fumetti della Marvel. 

Giardino coglie mille sfumature e non manca di rappresentare le contraddizioni tra chi, nel comunismo, ci ha veramente creduto, e chi ne ha fatto solo motivi di carriera. 

Quando, nel primo volume, a Jonas è negata l’iscrizione a scuola, l’autore mette in bocca, ad un dirigente scolastico, un discorso che potrebbe anche sembrare in buona fede, ma che conduce a conseguenze aberranti, poiché per ragioni politiche (figlio di un ebreo borghese), a Jonas viene impedito di iscriversi al ginnasio. 


All’inizio del secondo volume, un direttore di cantiere sembra rifiutare di assumere il giovane come apprendista muratore, quando apprende che è figlio di un “nemico del popolo”; ma non per timore, bensì per convinzione nel partito, al quale dichiara di essere iscritto da vent’anni, e dunque da prima della annessione del paese al Patto di Varsavia. 

Ed anche nel finale del terzo episodio, quando il Jonas di mezza età si ritrova a tu per tu con uno dei poliziotti che lo avevano minacciato da giovane, lo sguardo dell’autore sembra rifuggire da ogni forma di severità, abbracciando invece la tragedia della Storia in uno sguardo di pietà. 

I personaggi 

Impossibile non appassionarsi a personaggi che si seguono nell’arco di un racconto che non solo prende, nella finzione, 40 anni di storia, ma che i lettori della prima ora hanno a loro volta imparato a conoscere nel corso di quasi 30. 

A parte le connotazioni psicologiche, sempre molto ricche, si deve riconoscere a Giardino una notevolissima capacità di caratterizzare i visi, frutto di studi dettagliati. 

A parte Jonas medesimo, uno dei personaggi che certamente colpisce, protagonista silenzioso del secondo e del terzo episodio, è l’idraulico Slavek, ispirato graficamente al Giuseppe Tubi di disneiana memoria. 



Amante dell’alcool quanto basta, apparentemente pigro e indolente, in realtà in grado, a modo suo, di scardinare la logica del regime, Slavek si rivelerà, in più occasioni, in grado di rischiare in proprio pur di aiutare Jonas. Di tutti i personaggi, forse, è quello che più avrebbe meritato una menzione finale, una vignetta o una didascalia che tranquillizzasse i lettori sul suo destino. 

Impossibile, per chi ama leggere, non simpatizzare con il libraio Pinkel. Anziano già nel secondo episodio, compare ancora nel terzo, evidentemente sopravvissuto ai guai con la polizia che gli derivano dal custodire testi vietati dal regime. Pinkel trasmette l’amore per la lettura a Jonas, che dopo l’espulsione dalla scuola, aveva abbandonato ogni velleità di studio. Tra gli scaffali della sua libreria appaiono Kafka e tanti altri autori che hanno fatto grande la letteratura russa e mitteleuropea. La sua figura dimostra, anche se non ce n’è più bisogno dopo Fahrenheit 451, che leggere è sempre un atto sovversivo sotto qualsiasi regime; e che si può fare resistenza non solo gettando bombe, ma anche mantenendo viva la fiamma della libertà di lettura.

Tra le persone reali alla cui fattezze si è ispirato l’autore, un cameo lo merita il giornalista Vincenzo Mollica, che come direttore della rivista Il Grifo, tenne a battesimo le primissime tavole dell’opera. Giardino lo omaggia nel terzo volume, dando il suo volto al direttore di una emittente radio che continuerà a trasmettere clandestinamente dopo l’invasione sovietica. 


E non poteva mancare il cantautore Francesco Guccini

Giardino omaggia il suo concittadino dando le sue fattezze ad un avventore della taverna frequentata da Jonas e Slavek. Sembra solo un omaggio grafico, visto che il simil-Guccini accompagna con la chitarra un canto popolare ceco che ricorre più volte nei tre volumi dell’opera. Ma poi basta girare pagina e, in un’ultima vignetta a sorpresa, il chitarrista intona i primi versi dell’Avvelenata, canzone della quale abbiamo già parlato qui e che fu composta dieci anni dopo i fatti narrati nel fumetto. Un buffo caso, insomma, di distorsione spaziotemporale, comunque una conferma della stima che lega i due (Guccini scrisse la prefazione a “Tavole fuori testo”, una lussuosa antologia di disegni di Giardino, edita in soli 500 esemplari nel 2001). 


Cosa c’entra il Diritto? 

In questo blog dedicato ai rapporti tra diritto e fumetti, potremmo cercare di abbozzare una traccia per un futuro scritto su “Spunti giuridici nell’opera di Vittorio Giardino”; ma l’impresa è forse troppo impegnativa. 

Ci limitiamo allora a ricordare la scena in cui la madre di Jonas si reca dall’avvocato Rindel, un vecchio signore borghese che ricorda le lezioni di diritto romano di prima della fine dell’Impero austroungarico, e che lamenta di non capire cosa sia diventata la legge sotto il nuovo regime. 


Nell’opera appaiono altri riferimenti giuridici all’ingiusta, kafkiana condanna subìta dal padre di Jonas; il quale non viene però mai mostrato a giudizio, per evidenziare l’inesistenza di un vero e proprio processo e la mancanza di garanzia legali in condanne basate solo su un pregiudizio antiebraico e antiborghese. 

Il dr. Fink viene invece mostrato in carcere, con il volto emaciato e la tuta da detenuto. Sebbene, nella tav. 9 del primo volume, egli sia da solo in cella, la disperazione dell’andirivieni nello spazio minuscolo ricorda la Ronda dei detenuti di Vincent Van Gogh. 


A 72 anni, Vittorio Giardino ha confidato, nell’intervista apparsa sul n. 271 di Fumo di China, di avere ancora molti progetti e molte storie da raccontare. La speranza, per tutti i lettori, è di poterle leggere… entro i prossimi trent’anni! 

© Francesco Lentano