Torniamo a parlare de IL RAZZISMO NEI
FUMETTI, saggio di Alessandro Bottero edito da Nicola Pesce, che abbiamo già
recensito qui:
E’ interessante segnalare, dato che non
sempre i commenti vengono letti dai visitatori, che Bottero è personalmente
intervenuto per rispondere a Sauro Pennacchioli, noto giornalista e
sceneggiatore, il quale aveva contestato alcune ipotesi formulate nel libro.
Ricordiamo che il testo parla soprattutto
del razzismo verso le persone di colore negli Stati Uniti; e dunque, per entrare
nel tema, ecco una bella sequenza da una vecchia storia di Hulk:
Da The Hulk n. 12, 1978 (in Italia: L’incredibile Hulk n. 2, Editoriale Corno, 1980).
© Marvel Comics
Testo di Doug Moench, disegni di Ron Wilson
Il pomo della discordia, per quanto riguarda
i commenti al precedente post, riguarda la crisi della casa editrice EC, negli
anni Cinquanta, a seguito della costituzione del famigerato Comics Code. Tutti gli storici
concordano che l’istituzione di questo organo di autocensura impoverì il
fumetto americano, anche grazie alle decisioni poco innovative del giudice
Charles Murphy, a capo della autorità che applicava il “bollino” sugli albi.
Secondo Bottero, a voler far fuori la EC furono soprattutto le altre
case editrici, in primo luogo la DC
(l’editore di Superman e Batman) e non la caccia alle streghe
del senatore Kafauver.
Senza entrare nel merito della querelle,
ricordiamo che una simile tesi era stata fatta propria, in Italia, anche da
Alessandro Sbrana, un esperto di fumetti che è anche avvocato in Genova (e
dunque un altro dei tanti giuristi-appassionati di comics, cui si rivolge
questo blog).
Il testo di Sbrana forse è poco noto
perché apparso in un volume collettaneo: “C’era una volta in America”, a cura
di Marco Cipolloni e Guido Levi, Edizioni Falsopiano, 2004.
Ricordando che, dopo l’istituzione
dell’organismo di autocensura, quasi tutti gli albi si munirono del bollino,
l’autore scrive:
Chiudiamo in bellezza con una sequenza
giudiziaria da Capitan America. Sono gli anni in cui, per agganciare il
pubblico di colore, lo sceneggiatore ed editor Stan Lee affianca a Cap
l’afroamericano Falcon, per mestiere
assistente sociale nel quartiere problematico di Harlem. In questa storia, il
nipote di Falcon viene arruolato da un boss, Faccia-di-pietra, ed arrestato
mentre riscuote una tangente. Capitan America compare in costume innanzi al
giudice a garantire per il ragazzo, ma il giovane di colore sembra poco
propenso a cogliere al volo la sua situazione.
La Dc, prima dell’acquisto da parte della Warner, era una piccola casa editrice e non controllava affatto i distributori. I grandi editori, quelli che potevano controllare qualcosa, erano Luce, Hearst eccetera. Prima del Comics Code, la Dc temeva editori di fumetti della sua grandezza come la Dell, l’Atlas/Marvel e la Archie. La Ec era una casa editrice media, non in concorrenza con la Dc perché aveva un pubblico più maturo. L’Atlas/Marvel, come la Ec, fu poi penalizzata dalla campagna contro i fumetti violenti perché ne pubblicava parecchi.
RispondiEliminaComunque, ora capisco da dove arriva questa balzana teoria anti-Dc.
Ripeto allora quanto detto nel post precedente riguardo alla caccia delle streghe (cioè ai fumetti violenti).
Ecco come Hajdu, nel libro “Maledetti fumetti”, descrive correttamente la situazione prima del Comics Code:
“La Ec, che sfruttava un distributore abbastanza piccolo e poco influente, la Leader News, continuava progressivamente a subire danni, visto che i rivenditori erano sempre più riluttanti all’idea di trattare albi che potessero causare la reazione del pubblico o delle autorità locali. «Ricevevamo indietro scatoloni ancora intonsi», ricordò Al Feldstein”, l’editor della Ec.
Inizialmente, come un paio di altri editori (che però pubblicavano solo albi per l’infanzia), Gaines, l’editore della Ec, decide di non entrare nel Comics Code e lancia nuovi albi con un tasso di violenza molto più basso. Sempre Hajdu scrive:
“«Cercai di non entrarci»”, nel Comics Code, “«e tutti i primi numeri delle mie nuove serie uscirono senza il logo. Ne vendemmo circa il 15% (delle tirature), il che è catastrofico. Così entrai nell’associazione e le vendite salirono (al) 20 o 25%, che è ancora catastrofico… tutto quel che facevo uscire andava in perdita». Per la fine di quell’anno «avevo finito i soldi», disse Gaines”.
Naturalmente Gaines non si lamentò della Dc, perché non gli aveva fatto niente di male (e non era una casa editrice razzista, come sostiene Bottero).
Torno a ripetere, non per polemica, ma per amore di precisione. La EC Comics fu la prima casa editrice che nel 1953, dopo un decennio circa di silenzio riprese a pubblicare storie che mettevano in questione la segregazione razziale, che all'epoca era legge negli stati. In oltre la metà degli stati che componevano gli Stati Uniti (all'epoca 48) .esistevano leggi contro i matrimoni misti, ed è un dato di fatto che al di sotto della linea MAson-DIxie, ossia nel SUd, le persone di colore residenti al nord, si avventuravano a proprio rischio e pericolo. Esistevano guide circolanti all'interno della popolazione di colore americana che indicavano i luoghi in cui potersi fermare e - ad esempio - poter usare i bagni pubblici senza problemi, o dove poter pernottare. Tali guide esistevano perché una decisione della corte suprema del 1885 aveva stabilito che anche se c'era stata l'emancipazione degli schiavi, i proprietari avevano il diritto di rifiutare l'accesso ai servizi di loro proprietà, cosa che nel sud accadeva regolarmente da parte di albergatori o ristoratori bianchi nei confronti dei clienti di colore. Quando l'EC inizia a pubblicare storie che mettono in dubbio lo status quo si pone contro l'establishment. Il problema non era i fumetti crime. Il comitato del congresso stabilì nelle sue conclusioni che non esisteva una correlazione tra fumetti e delinquenza giovanile quindi non era necessario alcun intervento legislativo. gli editori decisero in modo del tutto autonomo e non necessario di stabilire un codice per cui non era possibile pubblicare storie che proponessero l'andare contro la legge. quindi - sottilmente - si diceva che non era possibile pubblicare storie che andassero contro la segregazione razziale, perché la segregazione era legge, e non si potevano pubblicare storie dove chi andava contro la legge la faceva franca. Se un fumetto NON aveva il bollino del Comics Code i distributori erano autorizzati a NON distribuirlo, non mettendolo in vendita. Ecco il motivo del calo di vendita, ed ecco perché l'EC Comics si adeguò e sottopose i suoi albi all'ufficio del Comics Code per l'approvazione necessaria. Il punto è chel'EC non avevala forza di poter fare a meno del Comics COde. La Dell si rifiutò di aderire al Comics COde perché disse che non ne aveva bisogno. Il suo nome era già garanzia sufficiente, e siccome la Dell con Uncle Scrooge vendeva quasi tre milioni di albi al mese, nessun distributore sarebbe stato così' pazzo da mettersi contro la Dell. Ma l'EC non aveva quei numeri. era una casa editrice coraggiosa ma che vendeva poco più della media, quindi era necessario chinare il capo e adeguarsi al Comics Code. Ovviamente la mia tesi che il Comics Code fu fatto per uccidere l'EC a causa della sua politica antirazzista è una ipotesi diciamo "indiziaria". Nessuno ha mai detto esplicitamente "Noi editori vogliamo boicottare l'EC perché pubblica storie che vanno contro lo status quo segregazionista". Era più facile deviare il discorso dicendo che si volevano proteggere i bambini. Ma se uno esamina gli indizi e legge con attenzione il comics code, legandolo alla legislazione vigente negli USA in quegli anni forse concorderà con me che la verità non è quella ufficiale.
RispondiEliminaAlessandro Bottero
Se si tratta di una mera ipotesi, va bene.
RispondiEliminaRimane il fatto che non è sottoscritta da nessun esperto americano che io conosca, e neppure dalle "vittime" del Comics Code.
Auguri comunque per il libro.
S.P.