Proviamo ad incrociare due temi di cui
abbiamo già parlato in questo blog: il razzismo nei fumetti (vedi qui e quo);
e l’eccezionale fioritura di storie con giudici come protagonisti negli albi di
Tex Willer, fenomeno che abbiamo già
evidenziato qua.
Del razzismo abbiamo parlato recensendo un
recente saggio di Alessandro Bottero, che però è dedicato soprattutto al
fumetto americano. Sull’atteggiamento di Tex verso gli indiani e le persone di
colore, tra cui gli ex schiavi degli stati del Sud, spende belle parole
Francesco Fasiolo nel suo saggio Italia
da fumetto, edito da Tunuè.
Il libro non è recentissimo (marzo 2012) e,
stando al titolo, sembra dedicato soprattutto al graphic journalism; all’interno, invece, si parla anche degli
agganci del fumetto popolare con temi della storia e della cronaca
contemporanea.
Fasiolo cita alcune storiche avventure di
Tex, tra cui quella nota come TRA DUE BANDIERE, nella quale il Nostro cerca di
non prendere posizione durante la guerra di secessione, comunemente narrata
come scontro tra il Sud schiavista ed il Nord libertario. Riproduce in
particolare una sequenza, che qui riportiamo nella versione a colori, in cui
Tex esprime la sua consueta solidarietà spiccia e senza fronzoli, non
disdegnando l’uso del termine “Negro” (non erano ancora gli anni del
“politicamente corretto”).
Su questi temi torna, nell’ultimo Texone,
TEMPESTA SU GALVESTON, lo sceneggiatore Pasquale Ruju.
Della storia abbiamo già mostrato una
tavola in cui Tex strapazza il malvagio giudice Trent. Ora aggiungiamo qualche
particolare. Innanzitutto, per una volta, lo spunto giuridico è in qualche modo
il motore di tutta l’avventura; tutto nasce dall’idea che la legge dell’epoca
consentisse ai giudici, in Texas, di condannare gli imputati ai lavori forzati
presso privati, anziché al carcere. Discriminandolo solo per il colore della
pelle, il giudice condanna un mite afroamericano, Elias Masters, a lavorare
gratis per due anni nella piantagione di cotone del prepotente colonnello
Woodlord; di più: il giudice forza la legge per fornire manodopera gratis al
colonnello, sapendo che, dopo l’abolizione della schiavitù, le coltivazioni di
cotone sono in crisi finanziaria.
Ecco il turpe colloquio tra il giudice ed
il proprietario terriero.
Nulla di originale nel presentare un
giudice malvagio e corrotto, situazione frequentissima nelle avventure di Tex; bella
invece l’idea che alla base vi sia una specifica norma di legge e interessante
il richiamo al tema della rieducazione
dei detenuti, di attualità anche nel dibattito politico attuale. A far
insospettire Tex e Carson, e a portarli a minacciare il giudice nella scena già
mostrata nel precedente post, non è ancora la scoperta che Trent sia a libro
paga di Woodlord, bensì la sua durezza nel preannunciare una severa condanna
verso il giovane membro superstite di una banda di malfattori sterminata dai
due pard.
Il giovane, che Tex sospetta trascinato a
forza nella banda, affronterà la sua redenzione salvando la vita di un cittadino
durante la tempesta finale, una tromba d’aria spettacolare che colpisce la
città ove è ambientata la storia.
Concludiamo ancora su Tex per ricordare
Ferdinando Fusco (1929-2015), scomparso pochi giorni fa.
Disegnatore storico
del ranger, Fusco nel 1976 ha
prestato i suoi pennelli all’episodio Il
giudice Maddox, citato nel catalogo GIUSTIZIA A STRISCE per la sua
rappresentazione di un magistrato, manco a dirlo, violento e malvagio.
Tex è © Sergio Bonelli Editore
Contrariamente a quanto si dice nel post, l’uso del termine “negro” non era politicamente scorretto, in quanto, all’epoca, esisteva solo quello nel vocabolario italiano, per designare le persone di origine sudsahariana. Invece, in inglese ci sono diverse parole: il neutrale “black” (equivalente al negro dell’italiano parlato fino a 25 anni fa), l’insultante “nigger” (che in italiano potrebbe essere il peggiorativo negraccio) e persino “negro”, scritto come in italiano, che in America è un termine aulico usato da alcune istituzioni culturali afroamericane.
RispondiEliminaGli italiani, pseudoanglofili, hanno deciso che i negri (da sempre chiamati così dagli alti poeti come dall’uomo della strada) dovevano essere improvvisamente chiamati neri, parola fino a quel momento inesistente nella nostra lingua nell’accezione di afroamericani, inventandosi una contrapposizione nero-negro assente nella lingua italiana. Questi pseudoantirazzisti hanno così regalato ai razzisti un insulto che non avevano ancora: negro, nella nuova accezione spregiativa!
D’altra parte, l’atteggiamento del Tex di Gianluigi Bonelli verso i neri (ormai si è obbligati a chiamarli così) è blandamente razzista e paternalista, in linea con la sensibilità di chi si era formato negli anni trenta (si vedano in proposito gli innumerevoli esempi riportati nel divertente saggio “Non son degno di Tex”, scritto da Claudio Paglieri). Sicuramente i dialoghi delle ristampe recenti di Tex sono state manipolati, questi sì, in senso politicamente corretto.
Tornando alla questione del post. Nelle storie di Tex, come in quelle western in generale, il giudice è corrotto per legittimare la presenza di un pistolero che si fa giustizia da solo. Se la giustizia ordinaria funzionasse, infatti, i vigilanti come Tex non avrebbero ragione di esistere. Anche se, a un certo punto, gli autori l’hanno istituzionalizzato nominandolo ranger (che all’epoca era la qualifica più simile a quella dei g-men della non ancora esistente Fbi: in seguito i ranger sono diventati guardie forestali).
Proprio dai personaggi western delle dime novel americane, di fine ottocento e inizio novecento, nasce il prototipo del giustiziere (Kit Carson) che passa alle pulp (Doc Savage, The Shadow) e quindi ai fumetti (Superman, Batman). I supereroi, insomma, sono eroi western che invece delle pistole usano i superpoteri.
Sauro Pennacchioli