sabato 22 agosto 2015

TEX, I GIUDICI, IL RAZZISMO

Proviamo ad incrociare due temi di cui abbiamo già parlato in questo blog: il razzismo nei fumetti (vedi qui e quo); e l’eccezionale fioritura di storie con giudici come protagonisti negli albi di Tex Willer, fenomeno che abbiamo già evidenziato qua.
Del razzismo abbiamo parlato recensendo un recente saggio di Alessandro Bottero, che però è dedicato soprattutto al fumetto americano. Sull’atteggiamento di Tex verso gli indiani e le persone di colore, tra cui gli ex schiavi degli stati del Sud, spende belle parole Francesco Fasiolo nel suo saggio Italia da fumetto, edito da Tunuè. 



Il libro non è recentissimo (marzo 2012) e, stando al titolo, sembra dedicato soprattutto al graphic journalism; all’interno, invece, si parla anche degli agganci del fumetto popolare con temi della storia e della cronaca contemporanea.
Fasiolo cita alcune storiche avventure di Tex, tra cui quella nota come TRA DUE BANDIERE, nella quale il Nostro cerca di non prendere posizione durante la guerra di secessione, comunemente narrata come scontro tra il Sud schiavista ed il Nord libertario. Riproduce in particolare una sequenza, che qui riportiamo nella versione a colori, in cui Tex esprime la sua consueta solidarietà spiccia e senza fronzoli, non disdegnando l’uso del termine “Negro” (non erano ancora gli anni del “politicamente corretto”).


Su questi temi torna, nell’ultimo Texone, TEMPESTA SU GALVESTON, lo sceneggiatore Pasquale Ruju.
Della storia abbiamo già mostrato una tavola in cui Tex strapazza il malvagio giudice Trent. Ora aggiungiamo qualche particolare. Innanzitutto, per una volta, lo spunto giuridico è in qualche modo il motore di tutta l’avventura; tutto nasce dall’idea che la legge dell’epoca consentisse ai giudici, in Texas, di condannare gli imputati ai lavori forzati presso privati, anziché al carcere. Discriminandolo solo per il colore della pelle, il giudice condanna un mite afroamericano, Elias Masters, a lavorare gratis per due anni nella piantagione di cotone del prepotente colonnello Woodlord; di più: il giudice forza la legge per fornire manodopera gratis al colonnello, sapendo che, dopo l’abolizione della schiavitù, le coltivazioni di cotone sono in crisi finanziaria.
Ecco il turpe colloquio tra il giudice ed il proprietario terriero.


Nulla di originale nel presentare un giudice malvagio e corrotto, situazione frequentissima nelle avventure di Tex; bella invece l’idea che alla base vi sia una specifica norma di legge e interessante il richiamo al tema della rieducazione dei detenuti, di attualità anche nel dibattito politico attuale. A far insospettire Tex e Carson, e a portarli a minacciare il giudice nella scena già mostrata nel precedente post, non è ancora la scoperta che Trent sia a libro paga di Woodlord, bensì la sua durezza nel preannunciare una severa condanna verso il giovane membro superstite di una banda di malfattori sterminata dai due pard.
Il giovane, che Tex sospetta trascinato a forza nella banda, affronterà la sua redenzione salvando la vita di un cittadino durante la tempesta finale, una tromba d’aria spettacolare che colpisce la città ove è ambientata la storia.



Concludiamo ancora su Tex per ricordare Ferdinando Fusco (1929-2015), scomparso pochi giorni fa.
Disegnatore storico del ranger, Fusco nel 1976 ha prestato i suoi pennelli all’episodio Il giudice Maddox, citato nel catalogo GIUSTIZIA A STRISCE per la sua rappresentazione di un magistrato, manco a dirlo, violento e malvagio. 


Tex è © Sergio Bonelli Editore

1 commento:

  1. Contrariamente a quanto si dice nel post, l’uso del termine “negro” non era politicamente scorretto, in quanto, all’epoca, esisteva solo quello nel vocabolario italiano, per designare le persone di origine sudsahariana. Invece, in inglese ci sono diverse parole: il neutrale “black” (equivalente al negro dell’italiano parlato fino a 25 anni fa), l’insultante “nigger” (che in italiano potrebbe essere il peggiorativo negraccio) e persino “negro”, scritto come in italiano, che in America è un termine aulico usato da alcune istituzioni culturali afroamericane.
    Gli italiani, pseudoanglofili, hanno deciso che i negri (da sempre chiamati così dagli alti poeti come dall’uomo della strada) dovevano essere improvvisamente chiamati neri, parola fino a quel momento inesistente nella nostra lingua nell’accezione di afroamericani, inventandosi una contrapposizione nero-negro assente nella lingua italiana. Questi pseudoantirazzisti hanno così regalato ai razzisti un insulto che non avevano ancora: negro, nella nuova accezione spregiativa!

    D’altra parte, l’atteggiamento del Tex di Gianluigi Bonelli verso i neri (ormai si è obbligati a chiamarli così) è blandamente razzista e paternalista, in linea con la sensibilità di chi si era formato negli anni trenta (si vedano in proposito gli innumerevoli esempi riportati nel divertente saggio “Non son degno di Tex”, scritto da Claudio Paglieri). Sicuramente i dialoghi delle ristampe recenti di Tex sono state manipolati, questi sì, in senso politicamente corretto.

    Tornando alla questione del post. Nelle storie di Tex, come in quelle western in generale, il giudice è corrotto per legittimare la presenza di un pistolero che si fa giustizia da solo. Se la giustizia ordinaria funzionasse, infatti, i vigilanti come Tex non avrebbero ragione di esistere. Anche se, a un certo punto, gli autori l’hanno istituzionalizzato nominandolo ranger (che all’epoca era la qualifica più simile a quella dei g-men della non ancora esistente Fbi: in seguito i ranger sono diventati guardie forestali).
    Proprio dai personaggi western delle dime novel americane, di fine ottocento e inizio novecento, nasce il prototipo del giustiziere (Kit Carson) che passa alle pulp (Doc Savage, The Shadow) e quindi ai fumetti (Superman, Batman). I supereroi, insomma, sono eroi western che invece delle pistole usano i superpoteri.

    Sauro Pennacchioli

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