venerdì 29 gennaio 2016

IL BALIFFO, QUESTO SCONOSCIUTO


La giornalista Brenda Starr è un personaggio piuttosto noto negli Stati Uniti, assai meno da noi. Di ispirazione vagamente femminista (e creata effettivamente da una donna, Dale Messick), è stata protagonista di una striscia quotidiana sui giornali, apparsa dal 1940 al 2011. 


In una storia del 1964, Brenda Starr si precipita in Tribunale mentre, innanzi a tale giudice Nathan, compare un personaggio piuttosto singolare, una attempata signora di nome Nettie Piume. Cosa sia successo nella storia, ci interessa fino ad un certo punto; ed anche la figura del giudice ha, in effetti, ben poco da raccontarci: trattasi del consueto uomo di mezza età, con occhiali, sguardo concentrato e vagamente corrucciato. Nathan fa una breve comparsa nella storia, il tempo di scoprire cosa ha da offrirgli Nettie Piume (vera protagonista dell'episodio), e poi nulla più.

Ciò che suscita umorismo involontario, invece, è la versione distribuita in Italia (nella collana Eureka Supplementi n. 13), dove il “Bailiff" è diventato, in un tentativo di traduzione letterale, un improbabile “Baliffo"; vale a dire, una parola del tutto inesistente nella lingua italiana.

Ma chi è il “Bailiff”? Negli Stati Uniti si indica così un ausiliario del giudice che, in udienza, gli presta assistenza, introducendo testimoni o imputati; insomma una funzione che, da noi, dovrebbe svolgere l'Ufficiale giudiziario (quando c'è).
Ecco un bailiff americano, tratto da una serie televisiva di successo.


Il problema della traduzione dei fumetti è delicato. Per anni, quella a vignette è stata una parente povera di altre forme di editoria; con la conseguenza che pubblicazioni di questo tipo venivano realizzate con pochi soldi e poca cura.
L'intera storia delle traduzioni dei fumetti stranieri è piena di errori, incomprensioni e trasformazioni, a cominciare dai nomi (Superman fu presentato in Italia dapprima come "Ciclone", poi come "Nembo Kid", e solo a distanza di anni gli fu accordato il nome americano originario). Ma, al di là della scelta dei nomi dei personaggi, ad essere carente era spesso proprio la professionalità del traduttore. Quando poi, in vicende a sfondo processuale (o, in senso lato, giuridico), occorre tradurre termini tecnici, l'errore è particolarmente frequente. Si spiega così, probabilmente, la simpatica invenzione del “baliffo".
A conferma della grafia originale del termine, riportiamo un esempio tratto da un fumetto di supereroi: Hawk and Dove, creato da Steve Ditko nel 1968.

Qui il giudice Irwin Hall impartisce una bella lezioncina ad un estorsore appena condannato, e conclude con un imperioso: <<Bailiff, take him away!>>.


PS Questo testo doveva far parte del libro GIUSTIZIA A STRISCE, ma fu eliminato per un dubbio dell'ultimo secondo: e se il termine BALIFFO, in italiano, esistesse davvero?
Sui dizionari comuni non ce n'è traccia; su google poco o nulla. Ma non ci è stato possibile consultare il vocabolario del Battaglia in 20 volumi, o altre fonti consimili.

Chiamiamo perciò a raccolta il nostro folto pubblico di bibliotecari, fumettisti, giuristi, glottologi, professori universitari, ladri e biscazzieri, e chiediamo rispettosamente aiuto.

sabato 23 gennaio 2016

Nuove leggi e fumetti / Non si pignora il cane

Strano il rapporto del nostro paese con le leggi. Periodicamente ci si lamenta che sono troppe e inutili; qualcuno ricorderà lo show di un ex ministro della Repubblica, che usò un lanciafiamme per propagandare una supposta opera di semplificazione.


E però, qualsiasi problema si discuta, salta fuori il ritornello: “in Italia manca una legge".

Troppe o troppo poche? In attesa di risolvere il dilemma, ecco la novità del secolo: l'art. 77 della legge 221, emanata il 28 dicembre 2015, ha inserito, tra i beni impignorabili (cioè che non possono essere portati via per esser venduti e pagare i creditori), anche gli animali da compagnia e quelli impiegati a fini terapeutici o di assistenza.
Per la verità, pignoramenti del genere pare fossero praticamente sconosciuti alla prassi giudiziaria; ma da tempo montava un movimento di opinione contro norme barbare che consentivano di vendere Fido e Fufi come un qualsiasi bene. 
L'uomo, si sa, ama gli animali; ecco un triste Paperino che condivide il letto con il gatto Malachia.



La nuova legge ci dà uno spunto per parlare di come, nel mondo del fumetto, siano raffigurati i pignoramenti.



Negli Stati Uniti e nei paesi anglosassoni in genere, è spesso consentito alle banche ed agli altri creditori di vendere direttamente i beni del debitore, senza l'intervento del giudice.
In Italia esistono il giudice dell'esecuzione e il giudice dei fallimenti; ma trovarne degli esempi a fumetti è una impresa difficoltosissima.
Ed infatti, nel catalogo GIUSTIZIA A STRISCE, compaiono giudici monocratici civili e penali, corti d'assise, corti marziali, giurie popolari, giudici dei minorenni, ma nulla che abbia a che fare con il nostro argomento odierno.



Un giudice fallimentare viene citato in questa vecchia storia di Zio Paperone, ma solo íncidentalmente, nella prima vignetta, per dare il “la” alla vicenda (se non altro però ci consente di citare un decano come il disegnatore Giulio Chierchini, del quale sinora non abbiamo avuto occasione di mostrare alcuna immagine).
Molto più frequente, anche a fini umoristici, la scena dei mobili che vengono portati via dalla casa o l'ufficio del debitore insolvente.



La sequenza qui sopra è tratta da Kerry Kross, un personaggio creato da Max Bunker in Italia, ma con una ambientazione americana. Qui non è, come da noi, l'ufficiale giudiziario a portare via i beni, ma dei comuni operai. Questo fumetto, nonostante la nota predilezione dell'autore per l'umorismo (si veda Alan Ford, altra grande creazione di Bunker), presenta situazioni realistiche e a volte scene di cruda violenza; mostrare i mobili che vengono portati via serve a dare un tocco di realismo ad un personaggio come Kerry, un detective privato alle prese con problemi di tutti i giorni: il mutuo da pagare, i soldi che non bastano mai, ed anche un amore non corrisposto verso un'altra donna.


Per concludere, il dramma del pignoramento è ben colto in questo quadro fiammingo dell'Ottocento. Vi compare anche un cane, ma non sembra incluso tra i beni da vendere all'asta. C'è anche un uomo in divisa che sembra allargare le braccia, e che potrebbe essere un equivalente del nostro ufficiale giudiziario.

venerdì 15 gennaio 2016

Considerazioni iconoclaste sui Musei del Fumetto (e una deliziosa storia in omaggio)

Molti appassionati di fumetti lamentano la mancanza, in Italia, di un Museo del Fumetto che possa rivaleggiare con altri stranieri, come quello di Bruxelles.


C'è stato il tentativo del MUF di Lucca; ma nel tempo si sono lamentano disfunzioni e vicende burocratiche poco limpide, e di fatto attualmente è chiuso (cosa ne sia del materiale, sinceramente, non sappiamo).
La questione, però, forse è mal posta.
Innanzitutto, musealizzare il fumetto è problematico; si possono mettere in mostra tavole originali, incorniciate a mo' di pitture da cavalletto, o anche pagine stampate; ma il fumetto resta un’arte popolare il cui fine ultimo è la lettura; ergo, bisognerebbe soprattutto far circolare storie a fumetti leggibili.
Una osservazione in questo senso, più che fondata, l’ha fatta, sin da molti anni fa, il grande sceneggiatore Carlo Chendi, intervistato da Sergio Badino in un volume edito da Tunuè:


In questo senso, è da preferire una struttura come lo Spazio WOW di Milano, che al piano terra ha la biblioteca, liberamente accessibile, e al primo allestisce mostre temporanee sempre piuttosto sfiziose.


Anche la Fondazione Montalbano, che ha allestito a Catania la mostra GIUSTIZIA A STRISCE e pubblicato il catalogo, possiede un’ottima biblioteca, ben superiore a quella milanese; purtroppo la carenza di spazi e la ubicazione infelice, in un comune di provincia anziché in città, rendono ardua la fruizione.
Ma anche a voler creare un Museo in senso tradizionale e non una biblioteca, siamo sicuri che abbia senso puntare su nuove strutture, che necessitano di finanziamenti? Non c’è il rischio di rinchiudere la Nona arte in un ghetto?
Probabilmente è più interessante la strada scelta da quei musei d’arte “generalisti” che aprono sezioni interne dedicate ad autori del fumetto, più spesso locali; così ha fatto il MAT, il Museo dell’Alto Tavoliere di San Severo (FG), per Andrea Pazienza, che ivi nacque (e recentemente ha ospitato anche opere del disegnatore, bonelliano e non, Mario Milano); nonché il Museo civico di Sanremo, che ha istituito una sezione dedicata ad Antonio Rubino.


Altri spazi espositivi includono il fumetto in promiscuità con altro materiale, così implicitamente riconoscendo la dignità di quest’arte. Mescolando cavoli e bignè, mostriamo una immagine del Museo della Juventus, che tra trofei calcistici e materiali celebrativi vari, ha anche uno spazio-comics:


Qui sotto siamo al Pacific War Museum di Guam, isoletta della Micronesia; l’amico Alessandro Sbrana, avvocato genovese che abbiano già citato qui per una sua vecchia opera saggistica sui fumetti, mostra un pannello dedicato a Capitan America.


Da una esposizione del Centre culturel Tjibaou, in Nuova Caledonia, traiamo invece questa immagine di Phantom, indimenticato personaggio a fumetti degli anni Trenta, che pare sia, per alcune tribù della Papua Nuova Guinea, una creatura realmente esistente.


Oltre a mescolare i fumetti con tutto il resto, l’altra alternativa ai vari MUF è quella seguita da noi di GIUSTIZIA A STRISCE: lavorare su singoli progetti e sfruttare spazi espositivi “neutri”. Noi abbiamo fatto una mostra su Giustizia e Fumetti dentro un tribunale (primo allestimento) ed una Università (secondo); 


se ne può fare una su Medicina & Fumetti in un ospedale, su Sport & F in uno stadio, e così via.
E sarebbe il caso di pubblicizzare queste iniziative sparse a macchia di leopardo sul territorio, anziché puntare sul mega-evento che richiama migliaia di visitatori, ma che spesso porta denaro solo agli organizzatori e ai venditori di porchetta, più che al mondo del Fumetto.

Provocazioni? Forse. E allora rallegriamoci con una simpatica storia a fumetti che poco c’entra con il discorso che precede, ma che ci consente di chiudere in letizia. L'autore? Nientemeno che Frank Frazetta.









domenica 10 gennaio 2016

L'Arte di giudicare (ovvero: Fumetti in Cassazione)

C’era una volta una rivista di fumetti che ad ogni numero, nella quarta di copertina, riproponeva lo slogan “Il fumetto è arte”. Anche se le feste sono passate, ecco un esempio “natalizio” di tali pagine, opera di Andrea Pazienza.


Quel rissoso, irascibile, carissimo Luciano Secchi (in arte Max Bunker, creatore di Kriminal, Satanik, Alan Ford e decide di altri personaggi), disse la sua in un intervento sulla rivista Bhang:

Se il Fumetto è arte, lo può essere anche il Diritto; ed ecco infatti un bel libro di qualche anno fa:


Stia tranquillo chi non ama la “casta” dei magistrati: l’autore, Guido Alpa, è un avvocato, oltre che un professore universitario.
Per mescolare insieme diritto e fumetto, abbiamo creato GIUSTIZIA A STRISCE, una mostra espositiva di immagini tratte da fumetti ove compare la figura del giudice. Tipo questa:


Ma proviamo un approccio diverso. Parafrasando il titolo di una nota opera letteraria, ci chiediamo: di cosa parlano i giudici quando parlano di fumetti? Fanno riferimento ad una qualche “arte”, o a qualcosa di molto più prosaico?
Grazie al CED, il centro elaborazione dati della Corte di Cassazione, possiamo digitare la parola “fumetto” nella banca dati delle sentenze dei giudici supremi, e vedere in che contesto essa viene usata.
La ricerca è sterminata, ma noi la limiteremo e proveremo a ridurla in pillole. Prendiamo, per ora, solo l’archivio delle sentenze penali (cioè di quelle ove v’è un imputato accusato di un reato) e limitiamoci alle ultime dieci.

Ebbene: ben sette riguardano sentenze di condanna per reati di falsificazione di marchi; si tratta cioè di imputati trovati in possesso di magliette, palloncini, giocattoli o chissà cos’altro, con marchi di personaggi Disney o di altre scuderie. In questo caso, i supremi giudici usano sbrigativamente (e forse impropriamente) il termine “fumetto”, anche se questi personaggi sono quasi sempre derivanti da cartoni animati.
Queste sentenze, insomma, non hanno nulla a che fare con il fumetto come prodotto editoriale o come fenomeno culturale; qui si tratta di marchi commerciali, spesso falsificati alla rinfusa (in una sentenza la contraffazione riguardava i seguenti marchi: Harley Davidson, Nike, Vespa, Playboy, Walt Disney: insomma, di tutto un po').
Per amor di statistica, riferiamo che, delle sette sentenze in questione, cinque sono a carico di cittadini cinesi; ma noi non facciamo certo discorsi a base etnica, anche se qualcuno ricorderà fumetti degli anni Sessanta come questo:

             Tex copyright Sergio Bonelli Editore s.p.a.

Molto più interessante la situazione del sig. A.A., nei cui confronti sono pronunciate ben due sentenze. Si tratta di persona condannata a pena elevata per gravi fatti di criminalità organizzata; ma le sentenze non riguardano questo, bensì il suo status di detenuto. In carcere, mr. A vuole leggere; come è suo diritto (quasi tutti gli istituti di pena italiani hanno una biblioteca, e comunque è consentito ricevere pacchi dall’esterno o acquistare dei beni).
Solo che, secondo il Direttore del carcere, A. stava leggendo riviste pornografiche; di qui l’applicazione di una sanzione. Il detenuto ricorre al magistrato di Sorveglianza (l’organo deputato a sovrintendere alla espiazione di una pena ormai definitiva), sostenendo che di fumetti si trattava, e non di stampa oscena; ma gli viene confermata la sanzione. Ricorre allora alla Cassazione, che rigetta il ricorso. Per quale motivo? Ognuno potrà trarre la risposta da sé, divertendosi a leggere questo passaggio di giuridichese puro:


A carico di mr. A, come detto, c’è un’altra sentenza, dello stesso tipo.
In questo caso, un altro direttore di un altro carcere aveva negato l'acquisto di un fumetto in quanto vietato ai minori degli anni 18 e quindi ritenuto <<non oggetto di indispensabile utilizzo>>.
Il detenuto ricorre in Cassazione per ribadire il suo diritto a tenere in carcere qualsiasi quotidiano, periodico o libro in libera vendita all'esterno; ma gli ermellini affermano che l'amministrazione carceraria non è tenuta ad esaudire la richiesta di acquisto di qualsivoglia rivista o periodico, quando i medesimi non siano previsti tra i generi e gli oggetti inclusi nell'elenco di quelli acquistabili all'esterno per il tramite di una impresa convenzionata con la direzione del carcere.
Resta qualche dubbio: che fumetti leggono i detenuti? Quali erano le riviste "vietate", o presunte tali, che il signor A.A. voleva introdurre? Queste sentenze nascono da un pregiudizio antifumetto, o costituiscono asettica applicazione di legittime norme di legge?

sabato 2 gennaio 2016

GIUSTIZIA, FUMETTI E LA RIVINCITA DEL VINILE

Anno nuovo, vita nuova.
E’ ora in rete il profilo facebook di GIUSTIZIA A STRISCE, un tentativo di far conoscere l’intero progetto (Mostra itinerante, catalogo, blog) sperando di portare, soprattutto su questa pagina, un pubblico più ampio di giuristi, appassionati di fumetto, e semplici curiosi.
E visto che creare una pagina facebook è sforzo immane per quelli che, come i curatori di questo progetto, hanno una certa età, compensiamo subito con un argomento “vecchio”: i dischi in vinile.


Già qui abbiamo mostrato la copertina del 45 giri di SIGNOR GIUDICE, una vecchia canzone di Roberto Vecchioni illustrata dal fumettista Andrea Pazienza.
Ora mostriamo qualche bella copertina di albi a fumetti dove i dischi in vinile la fanno da padrone:






Quest’ultima, di Batman, sembra ispirata alla vecchia teoria PID, vale a dire “Paul is dead”: la leggenda metropolitana secondo cui McCartney sarebbe stato sostituito da un sosia (esiste anche una versione a fumetti della leggenda nel volume “Helzarockin”, opera collettiva di Gianluca Morozzi, Sergio Algozzino, Bianca Bagnarelli, Michele Petrucci, Giulia Sagramola e Jacopo Vecchio).
Che centra tutto ciò con l’oggetto di questo blog?
Innanzitutto ecco un’altra copertina, meravigliosamente vinilica, del procuratore distrettuale a fumetti, il misterioso Mr. District Attorney di cui abbiamo già mostrato varie immagini qui, qui e qui.


Poi vogliamo riprodurre per intero, traendola dal Digital Comics Museum, una storia che nel catalogo della mostra è menzionata, ma senza che sia stato possibile, per ragioni di spazio, riprodurne qualche immagine.
Qui, la registrazione di un disco in vinile diventa lo strumento con cui si dipana la matassa e si evita un clamoroso errore giudiziario.
Non diciamo altro per non togliere il piacere della lettura, se non che, nell’ambito dei cosiddetti Crime Comics (albi a fumetti americani degli anni 40/50, inediti da noi), questa storia è abbastanza inconsueta. Un magistrato ne è protagonista, ma non nella sua veste di giudicante, bensì…









Il disegno è firmato da Stan Campbell, un artista di cui si sa molto poco. Le sceneggiature di questi albi, poi, erano rigorosamente anonime.
Per concludere, un bell’articolo recentissimo sulla “rivincita del vinile”.



I link:
sui crime comics in generale:
su Stan Campbell:
sulla “rivincita del vinile”: